“Ecco una cosa che ho capito: che molti vogliono ammazzare qualcun altro. Ma non ho capito perché”
La guerra raccontata in un tweet, con gli occhi di una bambina. Anche questo è “L’uomo che verrà”, un film di Giorgio Diritti (se ne era parlato pure qua) quello di “Un giorno devi andare”. Brutalmente riassumendo c’è Martina che ha 8 anni. Non parla più da quando le è morto il fratellino. La mamma ora ne aspetta un altro. Per lei è il 1944 in quel dell’Appennino emiliano, per noi che la guardiamo è la strage di Marzabotto vista in diretta con i suoi occhi di bambina.
Il fratellino di Martina nasce in casa, a fine settembre. Senonché allo spuntar del giorno arrivano anche le SS. Le mitragliate contro vecchi, donne e bambini che vengono trucidati, dopo esser stati rastrellati, arrivano fino alle rosse poltroncine. Vengono chiusi tutti dentro a una chiesetta dopodiché lanciano le granate della strage. Martina, illesa, torna a casa ma trova solo stanze vuote e silenzio.
E’ a quel punto che prende la cesta con il fratellino, esce e gli canta una ninna nanna. Lei riacquista la parola noi un po’ di fiato e fiducia: eccolo lì, è lui l’uomo che verrà.
Sono giornate di dolore anche queste e ancora uomini che sterminano altri uomini e li affogano davanti a casa nostra e, di nuovo, la quota-parte di cinici ai quali si aggiungono gli idioti da tastiera. Perché se financo la spietatezza a volte si ferma, l’imbecillità purtroppo mai, manco davanti a un’ecatombe.
Ma un’altra frase, di quel film, mi torna spesso in mente:
“Tutti noi siamo quello che ci hanno insegnato a essere”.
Se qualcosa Marzabotto e Monte sole ci hanno insegnato a essere è ora di tirarlo fuori. Che il coraggio, a volte, non ha bisogno di gesti eclatanti: si esercita anche da fermi. Non facendoci trascinare dalla barbarie più subdola: quella che non esplode sui campi di battaglia a colpi di cannone ma avanza, strisciando, a colpi di pensiero.